In occasione della Santa Messa celebrata durante la Festa di inizio anno della Fondazione Grossman, il 29 settembre all’Idroscalo di Milano, don Filippo Pellini, ex studente, ha tenuto un’omelia rivolta a studenti, genitori e docenti. Al centro della sua riflessione, don Filippo ha posto il tema del significato dell’educazione e del compito di ogni insegnante e genitore: guidare i ragazzi verso una vita piena di senso, accompagnandoli in un cammino in cui ogni esperienza di studio e di amicizia è occasione per incontrare il Maestro. Il testo dell’omelia rappresenta un approfondimento della missione educativa della Fondazione e testimonia la bellezza di una comunità in cammino.
Leggi il testo integrale per scoprire le parole di don Filippo e il suo invito all’impegno condiviso.
Omelia per la Santa Messa di inizio anno presso l’Idroscalo
Perché siamo qui? Perché la nostra scuola – che di per sé è un istituto laico – sente il bisogno di iniziare l’anno con la celebrazione di una messa? Almeno apparentemente, non è qualcosa di realmente necessario affinché una scuola assolva il suo compito. Si possono formare e preparare i ragazzi alla carriera universitaria o lavorativa anche senza celebrazioni all’Idroscalo e, in effetti, la maggioranza delle scuole non lo fa né pensa di farlo. A dirla tutta, la maggioranza delle scuole nemmeno può farle, mentre la nostra è una scuola libera. Ma, anche data questa condizione, rimane la domanda: perché siamo qui? Perché lo facciamo?
Penso di poter rispondere guardando alla mia esperienza personale. Sono entrato all’Alexis Carrel esattamente 20 anni fa, nel settembre 2004. Al tempo il Liceo classico non esisteva, avevamo un giardino più grande (ma non c’era il campetto da calcio e si usava solo per il test di Cooper!). Quell’anno iniziava i suoi studi superiori anche il prof. Invernizzi, mentre il prof. Maggi era già lì, ab eterno. Prima che il mondo fosse, Maggi era già in classe!
Gli anni passati all’Alexis sono stati per me decisivi e sono convinto di aver ricevuto una buona formazione. Se però dovessi dire cosa veramente è stato significativo, cosa veramente ha cambiato la mia esistenza, dovrei rispondere così: all’Alexis, per la prima volta, qualcuno mi ha fatto una proposta di significato. Per la prima volta qualcuno mi ha detto non solo che la mia vita ha un valore, ma che la mia vita ha un senso, una direzione. Per la prima volta qualcuno mi ha detto: «Tu sei fatto per essere compiuto e la strada del compimento c’è». Questo, negli anni – perché è stato un cammino lungo e travagliato – ha destato qualcosa in me, nel mio profondo. Tutti abbiamo nel profondo la domanda: «Maestro, cosa devo fare per avere la vita eterna», che si può tradurre: «Maestro, come può compiersi la mia vita?».
Qui arriviamo a quello che realmente ho incontrato all’Alexis: un maestro. Il maestro non è semplicemente colui che inculca nella testa del discepolo nozioni interessanti e utili. Il maestro è colui che propone un significato e indica il cammino per arrivarci. Ecco, all’Alexis ho incontrato questo: un maestro. Un maestro che aveva la carne dei professori – certamente –, ma anche degli amici. Anche gli amici possono essere maestri: come decidete di stare insieme e affrontare l’esistenza dipendere dal significato, dal senso globale, che date alla vostra vita. Infine – non lo dico per captatio benevolentiae – era una maestro che aveva la carne dei genitori dei miei amici. Nella prima lettura abbiamo ascoltato il comando diretto di Dio: «Questi precetti che oggi ti do… li ripeterai ai tuoi figli». Aggiungo io: ripeteteli anche agli amici dei vostri figli, che forse serve anche a loro.
Insomma, attraverso tanti volti, più che un maestro ho incontrato il Maestro. L’ho messo a fuoco un po’ più tardi, ma sempre con maggiore chiarezza.
Non mi ricordo più come si fa uno studio di funzione, né mi ricorda cosa Cicerone avesse di così importante da dire nelle Catilinarie, né cosa si sia deciso nella pace di Vestfalia, eppure sono certo di essere stato educato nel senso pieno del termine, perché sono stato introdotto al significato che non passa, alla sapienza che non si perde. Mi è stata aperta la porta del senso ultimo di tutto, anche dello studio di funzione, delle Catilinarie o dei grandi eventi della storia.
Ecco, allora, perché iniziamo l’anno scolastico con una messa. Se siamo da un lato del banco (quello in cui si deve studiare), ci serve per ricordarci che tutto quello che studiamo e viviamo a scuola ci serve per scoprire il senso della vita e – spero sia così per tanti – a incontrare il Maestro che tutti voi – lo dico con certezza – state cercando. Se invece siamo dall’altro lato del banco o se siamo quelli che del banco pagano la retta, allora iniziare l’anno celebrando la messa serve a ricordarci che abbiamo un compito più grande che inculcare nozioni o garantire una buona istruzione. Abbiamo il dovere di comunicare che la vita ha un senso e che possiamo conoscerlo e accoglierlo solo se incontriamo il Maestro.
Almeno nella nostra parte del mondo, non c’è niente di cui ci sia più bisogno di adulti che siano maestri. Davanti a questi ragazzi – che hanno tutto, ma che non sono mai stati così poveri, perché non sanno cosa farsene di questo tutto – il gesto di amore e carità più grande è offrire loro un significato che dia un senso a questo tutto. «Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?» [I briganti sono tutto ciò che deruba la vita del suo senso.] Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così». È il compito che Cristo ci affida: professori, genitori, compagni di banco.
(don Filippo Pellini – Milano, 29 settembre 2024)