Preghiamo perché siamo realisti
«Gesù ci ha insegnato che alla insensatezza diabolica della violenza, si risponde con le armi di Dio, con la preghiera e il digiuno». Seguendo questo invito di Papa Francesco, studenti, docenti e dipendenti delle nostre scuole sono scesi in cortile per un momento di preghiera comune per la pace. Qui di seguito potete leggere l’introduzione a questo gesto del nostro rettore, Raffaela Paggi.
Ci troviamo oggi tutti insieme, qualunque sia il nostro attuale sentimento o giudizio sulla guerra in Ucraina, qualunque sia la nostra fede, appartenenza religiosa, o la nostra posizione rispetto a Dio, magari incredula o ancora in ricerca, per prendere innanzitutto consapevolezza del dramma che ha colpito un popolo a noi vicino e che non può lasciarci indifferenti. Piccoli e grandi, ci riuniamo non tanto e non solo perché temiamo le conseguenze nefaste che potrebbe avere anche per noi tale conflitto, perché la nostra scuola è intitolata a Vassilij Grossman, di origine ucraina, perché ne parlano i giornali, ma in primis perché vogliamo educarci a prendere in seria considerazione ciò che pertiene l’uomo: Homo sum, humani nihil a me alienum puto (sono uomo e nulla di ciò che è umano reputo estraneo a me) scrisse l’autore latino Terenzio.
Per prima cosa vogliamo immedesimarci nella gente che sta soffrendo, sotto attacco, in fuga, nello spavento e nel terrore. Solo così, e non facendo analisi (che pur chi di dovere è tenuto a fare) su chi ha torto o ragione, sulle strategie politiche e belliche, possiamo capire che la guerra è sempre un male, come scrive Papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti:
Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male. Non fermiamoci su discussioni teoriche, prendiamo contatto con le ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni. Rivolgiamo lo sguardo a tanti civili massacrati come “danni collaterali”. Domandiamo alle vittime. Prestiamo attenzione ai profughi, […] alle donne che hanno perso i figli, ai bambini mutilati o privati della loro infanzia. Consideriamo la verità di queste vittime della violenza, guardiamo la realtà coi loro occhi e ascoltiamo i loro racconti col cuore aperto. Così potremo riconoscere l’abisso del male nel cuore della guerra e non ci turberà il fatto che ci trattino come ingenui perché abbiamo scelto la pace.
Alcuni studenti del liceo si sono sorpresi, cantando O cor soave, della profonda corrispondenza tra le sofferenze di Cristo sulla croce, ingiustamente condannato, e di chi ingiustamente, senza colpa, sta soffrendo nel corpo e nello spirito per la guerra. Ascoltiamo il coro.
O cor soave, cor del mio Signore,
ferito gravemente, non da coltel pungente,
ma da lo stral che fabbricò l’amore,
che fabbricò l’amore.
O cor soave, quand’io ti rimiro
post’in tant’agonia, manca l’anima mia,
né voce s’ode più, né mai sospiro,
né più né mai sospiro.
Nei dialoghi, nelle discussioni, negli incontri cui spesso assistiamo in questi giorni, serpeggia un’idea distorta di storia da cui non dobbiamo lasciarci fuorviare. Spesso sentiamo esperti sostenere che siccome nel passato le cose sono andate in un certo modo, è inevitabile che ora si ripetano le stesse scelte, le stesse azioni, le stesse conseguenze. Non è così! Ci sono infiniti esempi nel passato in cui la decisione libera e coraggiosa di un singolo uomo ha cambiato il corso della storia: fateveli raccontare dai vostri docenti di storia!
Scrive Hannah Arendt, filosofa e politologa ebrea, che ci ha lasciato parole insuperate per interpretare il nazismo e in generale i totalitarismi:
Il nuovo si verifica sempre contro la tendenza prevalente delle leggi statistiche e della loro probabilità […]; il nuovo quindi appare sempre alla stregua del miracolo. Il fatto che l’uomo sia capace d’azione significa che da lui ci si può attendere l’inatteso, che è in grado di compiere ciò che è infinitamente improbabile. E ciò è possibile perché ogni uomo è unico e con la nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa si nuovo nella sua unicità.
E ancora
Diversamente dalla vendetta, […] che può essere prevista e anche calcolata, l’atto del perdonare non può mai essere previsto; è la sola reazione che agisca in maniera inaspettata. […] Perdonare, in altre parole, è la sola reazione che non si limita a reagire, ma agisce in maniera nuova e inaspettata.
L’esperienza che ci fa vedere un miracolo in ogni evento non è arbitraria né artificiosa, anzi è naturalissima, nella vita di tutti i giorni.
[…] Non è per nulla superstizioso, anzi è realistico cercare quel che non si può prevedere.
Preghiamo insieme perché siamo realisti!
E come ci ha proposto l’Arcivescovo Mario Delpini diciamo una decina del Santo rosario affinché il Signore operi il miracolo della fine del conflitto, toccando i cuori di chi ha grandi responsabilità su tanti uomini. Inizia il coro con il canto Tatăl nostru, il Padre nostro della liturgia ortodossa rumena.
E noi? Come possiamo essere utili al mondo in questa circostanza? Qual è la nostra responsabilità? In un recente incontro l’arcivescovo metropolita di Mosca, Mons. Pezzi, ci ha indicato una strada: oltre a invitarci alla preghiera, che trasforma l’angoscia in affidamento, non come ultima possibilità, ma come principio di ogni azione, ci ha suggerito di allenare la nostra capacità di riconoscere le ‘fiammelle’ di bene che illuminano le tenebre. La notte è buia, ma una piccola fiamma può fare una luce infinita.
Aiutiamoci dunque vicendevolmente a cogliere nelle nostre giornate, nelle nostre azioni e amicizie, nei fatti che accadono, nei nostri studi, quei punti di luce, cioè di verità, bellezza, giustizia, bontà, che ci educano e ci rendono nel tempo uomini liberi, coraggiosi, capaci di amare e di perdonare.
Ascoltiamo, prima di ritornare alle nostre lezioni e al nostro lavoro, un brano del compositore russo Čajkovskij tratta dal balletto Il lago dei cigni, la cui vicenda simboleggia la lotta tra il bene e il male, nella certezza che il male e l’odio non hanno mai l’ultima parola.